04 Mag 2021

Un bell’incastro

Dopo la “magica” atmosfera delle feste natalizie, dopo la gioia primaverile della Pasqua, arrivano aprile e maggio. Anzi, più precisamente, arrivano il 25 aprile, Festa della Liberazione, e il Primo Maggio, Festa dei Lavoratori.

Sembra quasi che, dopo il periodo delle feste religiose, arrivi quello delle feste civili, laiche, a sancire una spartizione del tempo e delle liturgie secondo criteri che la prassi considera quasi scontati.

Il mondo della scuola non si sottrae a questa logica, anzi, ne è l’esempio più evidente, con gli alunni impegnati e ugualmente entusiasti a preparare gli addobbi di natale, a dicembre, e le coccarde tricolori a fine aprile.

Nella nostra scuola non vogliamo accettare e consolidare questa concezione divisa e divisiva.

Ci piace considerare il tempo che passa, con le sue scadenze e i suoi rituali, non come un ciclo ripetitivo, in cui la memoria è semplice nostalgia, ma come un percorso mai uguale a se stesso, con un’origine e una meta, inciampi e conquiste, ricordi e speranze.

Al tempo stesso ci sentiamo pienamente immersi in una compagine sociale che si è formata, e continua a formarsi, attraverso gli eventi dolorosi e gioiosi che la storia racconta. Tutto questo sentendoci intestatari di una “doppia cittadinanza” che, nelle sue dimensioni ugualmente preziose, ci rende orgogliosi e grati: quella di cittadino italiano e quella di membro vivo della Chiesa di Gesù Cristo.

Insomma la celeberrima frase di Cavour (che poi sua non era) “libera Chiesa in libero Stato” ci va bene se descrive un di più di libertà e un’opportuna chiarificazione di situazioni storicamente ingarbugliate, ma non ci basta e non ci piace se viene usata per sancire una divisione, o peggio una contrapposizione.

L’articolo 7 della nostra Costituzione recita:

“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.

E di seguito, all’articolo 8:

“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”.

Dove, in entrambi, si coglie che la sottolineatura sembra proprio quella di una libertà reale che non allontani, ma ponga le condizioni per dialogo e fattiva collaborazione.

La laicità dello Stato (ah, quante volte invocata come a denunciarne un quotidiano attentato!) non è una “visione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c’è posto per Dio”. Così scrive Joseph Ratzinger, continuando

“è compito di tutti i credenti, in particolare dei credenti in Cristo, contribuire a elaborare un concetto di laicità che, da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge morale, a Cristo e alla sua Chiesa, il posto che a essi spetta nella vita umana, individuale e sociale; e, dall’altra, affermi e rispetti la legittima autonomia delle realtà terrene”.

Ci sono stati alcuni momenti della storia d’Italia in cui un anticlericalismo rozzo e aggressivo si è contrapposto a un integralismo ottuso e gretto, ambedue talvolta violenti, ma erano tempi in cui il Paese era giovane e acerbo. Oggi la situazione è diversa: il rischio più grande è l’appiattimento degli slanci, è l’annacquarsi delle identità, l’omologazione dei desideri. Non crediamo sia un bene ingrigire i colori degli stendardi, ma piuttosto alzarli con orgoglio e simpatia, cercando i punti di contatto e le possibilità di condivisione, a ogni livello, con chiunque sia ben disposto.

Nella nostra scuola l’educazione civile (o alla cittadinanza o come il prossimo ministro deciderà di chiamarla) è una cosa importante. Pensiamo di educarci ed educare i nostri bambini e giovani a essere compatrioti consapevoli e attivi insegnando a raccogliere la carta in cortile e traducendo Orazio, scrivendo le regole delle seziompiadi e partecipando attivamente alle assemblee di classe, osservando la puntualità e partecipando dignitosamente ai momenti di preghiera e riflessione.

Non sappiamo come sarà l’Italia (e l’Europa) di domani: sappiamo che quel futuro è deciso, oggi, dalla verità di questi piccoli gesti quotidiani.

E quando, in mezzo agli appuntamenti quotidiani e normali (di un anno che di “normale” ha avuto poco), capitano i giorni speciali, li celebriamo con tutta la solennità e la creatività di cui siamo capaci.

L’abbiamo fatto, come abbiamo potuto, a Natale e a Pasqua, l’abbiamo fatto il 25 aprile e il 1 maggio. Che, per inciso, non è solo la festa dei lavoratori, ma quella di San Giuseppe lavoratore.

E, in quest’anno a lui dedicato, l’intreccio tra civile e religioso, tra laico e credente, diventa ancora più saldo ed efficace. Tale e quale a un incastro ben fatto dalla mano di un bravo falegname.
Come Lui.