15 Feb 2021

Maschere, mascherine e volti

Ci stiamo abituando.
Al punto che, per esempio, le fotografie di più di un anno fa ci paiono di un’altra era: eravamo senza mascherina.
Volti e sorrisi aperti, esposti, nudi.
Che nostalgia!

Oggi perfino le parole, attraverso quel tessuto, arrivano attutite e meno comprensibili.

Questo strano obbligo quotidiano ci costringe a interpretare intenzioni ed emozioni solo decifrando gli sguardi. E non vale granché l’apprezzabile tentativo di “personalizzare” la mascherina, con colori, disegni e scritte.

Rimane comunque una barriera, uno schermo.

Arriverà il giorno in cui potremo toglierla e guardarci con novità. E riconoscerci.

Nell’attesa non è vano riflettere su questo accessorio, che si è imposto con una certa “violenza” nelle nostre relazioni, giusto in questi giorni in cui festeggiamo la festa della maschere, il Carnevale.

Partiamo dalla celeberrima frase di Luigi Pirandello:

“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”

(da Uno, nessuno, centomila)

È lui, forse, il più autorevole descrittore della maschera come di qualcosa che nasconde, che trasforma, che travisa (letteralmente).
Continuava, infatti:

“C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro, e quando stai solo resti nessuno.”

Nessuno. Senza maschera, senza il ruolo, cioè, che la società, le relazioni, le consuetudini, le convenienze ci hanno confezionato addosso, noi non siamo nessuno. Non c’è nulla, sotto la maschera.

Eppure non doveva certo ignorare, lo scrittore siciliano, che la stessa parola persona, quella che siamo abituati a concepire come identificativa di ciascun essere umano, deriva etimologicamente proprio da lì: dalla maschera teatrale.

E quanti, quanti autori hanno descritto l’esistenza umana come l’indossare una maschera e interpretare un copione.

“L’uso, comune a tutte le lingue europee, della parola persona per indicare l’individuo umano è, senza saperlo, pertinente: persona significa, infatti, la maschera di un attore, e in verità nessuno si fa vedere com’è; ognuno, invece, porta una maschera e recita una parte.”

(Arthur Schopenhauer)

“Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori. Essi hanno le loro uscite e le loro entrate. E una stessa persona, nella sua vita, interpreta diverse parti.”

(William Shakespeare, Come vi piace)

Non c’è, quindi, alternativa? Può essere, addirittura, che “una maschera ci dica più di un volto”, come suggerisce Oscar Wilde?

Oppure può accadere ciò che scrive Marguerite Yourcenar: “Sapevo che il bene e il male sono una questione d’abitudine, che il temporaneo si prolunga, che le cose esterne penetrano all’interno, e che la maschera, a lungo andare, diventa il volto.”

Non sappiamo. Non vogliamo imporre risposte troppo semplici a questioni complesse. Com’è d’uso a queste righe, suggeriamo interrogativi, offriamo spunti. Magari attendiamo contributi.

E, con questo spirito, suggeriamo un’immagine. Letteralmente.

In realtà le immagini, in quel luogo straordinario, sono moltissime. Parliamo del Duomo di Monreale, a Palermo, e dei suo mosaici scintillanti d’oro. La prima figura che colpisce, entrando, è certamente il Cristo benedicente al sommo dell’abside. Ma sulla parete destra, nel ciclo della Creazione, se ci si sofferma alla rappresentazione della creazione di Adamo, salta immediatamente all’occhio la perfetta somiglianza tra Dio che crea e l’uomo creato. E, ancor più, quei due volti così somiglianti tra loro, rimandano con evidenza ai tratti del grande volto centrale di Cristo.

Rappresentazioni artistiche, certamente, ma quante volte un ritratto, una melodia, un verso poetico arrivano a sfiorare il mistero e a decifrarne una piega molto meglio di trattati e dimostrazioni. Lo stesso volto, gli stessi tratti nel Padre Creatore, nel Figlio e nella creatura prediletta.

Al di là delle maschere, sotto ogni apparenza, c’è un unico volto, quasi in filigrana. Come quando, tra genitori e figli, pur nella diversità, si gioca a rintracciare i tratti simili. Non per confondere, ma per riconoscere i legami che arrivano fino alle ossa e alla carne.

Un unico volto.

E non c’è maschera o mascherina che possa nasconderlo definitivamente.